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Una precauzione liberticida

Un principio assai di moda ma totalmente da rivedere

Non passa giorno senza che il principio di precauzione sia invocato dai media e dagli uomini di Stato, come se la nostra società avesse appena scoperto un principio essenziale al suo funzionamento, applicabile all'ambiente come alla sicurezza sanitaria o alimentare, difeso sia dalla destra che dalla sinistra. È vero che a prima vista questo principio sembra abbastanza accettabile: proprio l'esperienza del buon padre di famiglia, ci ricorda la necessità di avere un atteggiamento relativamente prudente di fronte a cambiamenti potenzialmente rischiosi. Ma uscito dal suo contesto iniziale, la società civile, per diventare il leit motiv della società politica, il principio di precauzione si trasforma da libero esercizio di saggezza a un pretesto mistificatorio per una regolamentazione liberticida.

Nuovo alibi per i responsabili che non vogliono essere colpevolizzati, cavallo di Troia di un'estensione indefinita delle prerogative dello Stato, il principio di precauzione, nella sua accezione corrente, è il principio costitutivo di una società basata su una prevenzione che mantiene stazionarie le condizioni esistenti. Destinato a diventare rapidamente un principio generale del diritto, il principio di precauzione è entrato per la prima volta nel diritto internazionale in occasione dell'ineffabile Convenzione di Rio sull'ambiente del 1992. Tre anni dopo, nel febbraio del 1995, la legge Barnier l'introduceva nel diritto francese, definendolo come: "Il principio secondo il quale l'assenza di certezze, tenuto conto delle attuali conoscenze tecniche e scientifiche, non deve ritardare l'adozione di misure effettive e proporzionate che, a un costo economico accettabile, mirino a prevenire il rischio di danni gravi e irreversibili all'ambiente". Oggi, il rapporto consegnato al Primo ministro da Ph. Kourlisky e G. Viney raccomanda di "imporlo a tutti i responsabili di decisioni, a chiunque abbia il potere di dare avvio a un'attività suscettibile di presentare un rischio per gli altri". Il diritto comunitario non è da meno: negli ultimi tre anni, una valanga di testi e di decisioni ne hanno fatto un principio che governa le politiche dell'Unione europea (art. 130 del trattato di Maastricht, raccomandazioni generali della D.g. 24 del 1998, decisioni della Cjce del maggio 1998 e del luglio 1998, ordinanze del 30 giugno 1999, comunicazione della Commissione del 2 febbraio 2000, sentenza della Cjce del 21 marzo 2000 e così via). Lo sanno i nostri legislatori che il principio di precauzione ha la sua origine intellettuale nell'opera di Hans Jonas e in particolare nel suo scritto Il principio responsabilità? Questo filosofo tedesco, cantore dell'ecologia profonda, propone una sedicente etica per la civiltà tecnologica fondata sulla denuncia dell'umanesimo (identica a quella del suo maestro Heidegger) e l'affermazione di una mistica oscurantista fondata sulla natura. In nome dell'irreversibilità delle azioni umane e dei pericoli del progresso tecnico e scientifico, Jonas vuole affidare a un'élite di uomini di Stato, ritenuti capaci di assumersi eticamente la responsabilità per le generazioni future, la direzione del pianeta. Con la parola d'ordine: "La limitazione piuttosto che la crescita". Questo "trattato tecnologico-etico", illiberale, reazionario e tecnofobo è il fondamento del principio di precauzione nel suo senso attuale, questa utopia che autorizza la sperimentazione solo quando non comporta il rischio di errore (Darwin si rivolterebbe nella tomba). Di fatto, Jonas stravolge il vero significato della responsabilità, significato legato alla libertà d'azione individuale. Il suo principio è un falso concetto, che si ritorce contro chi pretende di applicarlo. In nome di questo principio, per premunirsi contro gli incendi, gli imprenditori edili sono stati obbligati a usare... l'amianto, fino al momento in cui, in nome dello stesso principio, è stato necessario eliminare l'amianto.

In nome di questo principio, per premunirsi contro la "mucca pazza", si vieta l'importazione di manzo inglese, fino al momento in cui, in nome dello stesso principio, il resto dell'Europa rifiuta il manzo francese. Falso concetto, il principio di precauzione crea dei problemi reali. Estende il potere di controllo dell'Amministrazione, gli dà, come del resto ai giudici, un potere di decisione discrezionale, dato che la valutazione dei rischi resta arbitraria. Questo principio "sovrano" ("assolutista") soffoca l'innovazione, frena lo sviluppo degli scambi con l'estero, non tiene conto dei rischi legati all'interdizione di un prodotto, dà vita a una società stagnante, maltusiana, sottomessa alla psicosi della paura. Esagerato? Su Le Monde dell'8 novembre 2000, Bertrand Poirot-Delpech, che certo non si può tacciare di ultra-liberalismo, in un articolo intitolato I rischi della precauzione, scriveva: "L'ondata di prudenza che si è abbattuta (più o meno dopo l'Amoco-Cadiz, l'Aids, il sangue infetto e la "mucca pazza") sul diritto marittimo, sul diritto della salute e su quello dell'alimentazione, porta con sé un'accozzaglia d'incertezze, di generalizzazioni brutali, di scartoffie, di fallimenti, di disoccupazione, di cavilli e di attacchi alle nostre ancestrali comodità, senza parlare delle colpevolizzazioni incrociate e di altri pentimenti".