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Se la ristorazione fosse come la sanità

I medici in sciopero contro il taglio dei prezzi delle analisi di laboratorio sono vittime o causa del problema? Per comprendere la situazione della sanità svizzera nel suo complesso può tornare molto utile un esperimento mentale: cosa succederebbe se la ristorazione fosse organizzata secondo gli stessi principi? Ipotizziamo che ogni cittadino sia obbligato a concludere un’assicurazione contro la fame, che in caso di bisogno gli dia accesso ai ristoranti. Metà del prezzo del pasto verrà pagata dalla nuova assicurazione obbligatoria contro la fame e l’altra metà dai contribuenti. Per evitare che ci si abbuffi a spese altrui il 10% del prezzo sarà direttamente addebitato al cliente affamato.

Come cambia il mondo della Ristorazione rispetto a quello di oggi? Solo nella misura del 10% i prezzi sono ora un fattore di scelta del ristorante e sicuramente non diminuiscono. Tendenzialmente spariscono paninoteche e chioschi, mentre aprono ristoranti di miglior livello che prima i clienti non potevano permettersi. Sorpresi dall’inaspettato aumento della ristorazione, Stato e assicurazioni varano nuove leggi che regolamentino i prezzi, che non dovrebbero eccedere un certo margine di profitto sui costi. La concorrenza ovviamente non sparisce e si sposta su altri piani, come un arredamento più lussuoso, bicchieri di cristallo, o più personale. Il continuo aumento dei costi è l’unico modo per aumentare l’utile assoluto a parità di margine di profitto, ed ai clienti poco importa se i prezzi aumentano ancora. Con la regolamentazione, nessuno ormai parla più di prezzi, ma solo di costi.

Volendoci veder chiaro, il ministro della ristorazione si incontra con gli esercenti e negozia in un complicato sistema tariffario i costi per ogni padella, carota e bistecca consumata, accompagnato da una moratoria che blocchi le continue aperture di ristoranti, con la convinzione che siano i ristoratori ad indurre il cliente a mangiar più del dovuto. Un fenomeno ai tempi sconosciuto, quando il cliente pagava di tasca propria. L’agguerrita concorrenza di nuovi osti è vietata e nuovi giovani ristoratori sono disposti a pagare un sovrapprezzo per rilevare un ristorante esistente, perché con il ristorante si ricevono anche i clienti (che non possono andare altrove per via della moratoria). Benché non si aprano nuovi ristoranti, quelli esistenti cercano di ingrandirsi, continuando ad aumentare i costi, e quindi i prezzi. I premi delle assicurazioni aumentano e tutti danno loro la colpa, benché abbiano un semplice ruolo di intermediario.

Per soddisfare la maggioranza democratica si introducono premi in base al reddito, che incentivano però ancor più persone ad andare al ristorante. Al contrario di un tempo, tanti clienti nei ristoranti è ora un grave problema politico.

Sempre più determinato a tenere in scacco i costi, il Governo emana regolamentazioni sul modo di cucinare e sugli ingredienti necessari. Una cosa molto strana rispetto ai vecchi ristoranti liberi che decidevano autonomamente come organizzarsi. Con queste disposizioni, gli chef non possono più inventare nuove ricette e nessun ristoratore osa proporre pasti al di fuori del menu accettato dallo Stato, fatta ovvia eccezione per i clienti che pagano l’intero prezzo di tasca propria e verso i quali si è particolamente gentili e che vengono serviti in sale separate.

Alcuni studi su mandato governativo si accorgono che la regolamentazione del margine di profitto ha fatto aumentare il numero di tavoli per ristorante. Si emana una legge sui posti a sedere. Poco importa se una volta ogni ristoratore decideva autonomamente quanti tavoli avere, badando di non investire in inutili sovraccapacità. Ora che i costi e l’intero processo produttivo sono regolati, la qualità dei ristoranti inizia a peggiorare. Con i posti a sedere limitati, il take away ritorna di moda: si mangia senza rimanere al ristorante (non c’è posto).

Il ristoratore è ingabbiato in una serie di regolamentazioni, il suo profitto è regolamentato ma garantito dalla moratoria: pochi investono in nuove infrastrutture e lentamente non si riesce più a sfamare tutti. Chi è senza speranza viene messo a pane ed acqua (benché abbia sempre pagato) e molti altri aspettano.

Accuse e capri espiatori spuntano ovunque. Come fare il mestiere dell’oste è ormai tema di ampi dibattiti parlamentari. I ristoratori diventano funzionari pubblici e la ristorazione viene statalizzata. Si mangiano solo pochi menu standard in anonime mense di massa che hanno ottimizzato i costi.

Senza prezzi di mercato è però impossibile calcolarne l’effettiva economicità e c’è chi inizia ad incassare rendite politiche. Per ottenere sottobanco un buon pasto, contatti personali e corruzione diventano la norma. Chi può risparmia in proprio e va a mangiare a sue spese in ristoranti indipendenti o all’estero.